Donato Frisia Jr. – Opere. Percorsi. Radici.

Ci sono artisti che percorrono il loro cammino come un fiume: nascono da una sorgente limpida, attraversano terre diverse, raccolgono riflessi e voci, fino a sciogliersi in un mare che non ha confini. Donato Frisia Junior è stato uno di questi. La sua pittura non ha seguito linee spezzate, ma un movimento continuo, una ricerca ininterrotta che ha saputo rinnovarsi restando fedele a sé stessa.

All’inizio, lo sguardo si posa sulla Brianza, terra amata e restituita in immagini che sembrano trattenere la luce del mattino. Colline, case, alberi: tutto appare prossimo e familiare, eppure già trasfigurato. Nei paesaggi di Frisia non c’è mai mera descrizione; c’è l’urgenza di restituire il respiro di un luogo, la sua anima silenziosa.

Poi, a un certo punto, il visibile comincia a incrinarsi. Le superfici si muovono, la realtà si dissolve nell’acqua. Sono i riflessi, specchi mobili che piegano le forme e le riconsegnano come enigma. È in questi quadri che si intuisce il passaggio decisivo: il mondo riconoscibile si fa vibrazione, il contorno cede al colore, la certezza diventa movimento. I riflessi non sono una parentesi, ma il vero ponte: l’anello di congiunzione che lega la concretezza del figurativo e la libertà dell’astratto.

Ed è proprio qui che l’artista compie il salto. Nei suoi dipinti astratti, la materia pittorica si emancipa da ogni vincolo. Il colore non serve più a definire, ma a evocare. È ritmo, energia, musica tradotta in luce. Ogni tela diventa un campo di tensioni, in cui gli accordi e le dissonanze parlano una lingua universale. In queste opere non c’è più un paesaggio da riconoscere, ma una realtà interiore che prende forma davanti agli occhi dello spettatore.

Il filo che unisce le diverse stagioni dell’opera di Frisia Jr. è una poetica della trasformazione: non l’abbandono di un linguaggio per un altro, ma il progressivo scivolare verso una libertà sempre maggiore. Dal paesaggio ai riflessi, dai riflessi all’astratto, si compie un viaggio che non cancella le tappe precedenti, ma le custodisce come memoria viva.

A un anno dalla sua scomparsa, Merate rende omaggio a questo itinerario con una grande esposizione a Villa Confalonieri, dal 29 novembre 2025 all’11 gennaio 2026. La mostra, promossa dalla famiglia dell’artista insieme all’Associazione Lumis Arte e al Comune di Merate, raccoglie un ampio numero di opere, oltre cento, che restituiscono ai visitatori l’intero arco di una ricerca appassionata e rigorosa. Per l’occasione, gli eredi di Donato costituiranno l’Associazione Archivio Donato Frisia Junior, con l’obiettivo di tutelare, studiare e promuovere la sua opera nel tempo. Ad accompagnare il pubblico in questo percorso sarà il curatore Lorenzo Messina, dell’Associazione Lumis Arte (https://lumis-arte.jimdosite.com/), chiamato a dare voce e forma a una storia artistica di rara intensità.

Questa mostra intende affermare con chiarezza che la vita e la produzione di Donato Frisia Junior, pur nascendo sulle orme dell’omonimo nonno — figura eminente del naturalismo lombardo — se ne sono distaccate in modo irreversibile, definendo un’impronta stilistica autonoma e riconoscibile. Donato è stato un traghettatore tra due sponde di un fiume, tra arte moderna e contemporanea, un Artista di raffinata sensibilità che, nella sua visione del tangibile, ha saputo cogliere i mutamenti di un’epoca. Non un epigono all’ombra dell’avo, dunque, ma un Autore di statura originale, che possiede pieno titolo per divenire un punto di riferimento nella scrittura della Storia dell’Arte; come già lo è stato per molti colleghi del territorio, che spesso si riunivano per studiare con lui e chiederne consiglio.

Non si tratta solo di un tributo, ma di un invito: quello a entrare in dialogo con un pittore che ha saputo guardare oltre l’apparenza, per trasformare la materia della pittura in esperienza interiore. Un’occasione per scoprire, attraverso le sue tele, come l’arte possa farsi ponte tra il mondo e lo sguardo, tra ciò che vediamo e ciò che non sappiamo ancora nominare.

La mostra inaugurerà il 29 novembre 2025 alle ore 17.00 e rimarrà aperta fino all’11 febbraio 2026 durante i fine settimana:
il venerdì dalle 15.00 alle 19.00 (eccetto venerdì 26/12);
il sabato e la domenica dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 15.00 alle 19.00;
Apertura straordinaria lunedì 8/12 dalle 15.00 alle 19.00.

Non perderti questo appuntamento unico per incontrare da vicino l’eredità artistica di Donato Frisia Jr. e lasciarsi guidare, attraverso le sue tele, in un viaggio che continua a parlare al presente.

Un nuovo viaggio sta per iniziare.

In questi mesi stiamo lavorando a un progetto speciale per Donato. Non possiamo ancora svelare tutto, ma possiamo dire che sarà un’esperienza unica!

I suoi paesaggi brianzoli, i riflessi sull’Adda, le opere astratte ispirate dalla musica: tutto prenderà vita in un percorso sorprendente. Ogni opera racconterà un pezzo della sua visione.

Donato era in continua evoluzione. Sempre alla ricerca di nuove tecniche, nuovi linguaggi, nuove emozioni da tradurre in colore e forma. E ora, chi vorrà potrà seguire questo cammino. Un sentiero da scoprire, fatto di sorprese, poesia e musica.

Non sarà solo uno sguardo all’arte, ma un viaggio da vivere passo dopo passo, lasciandosi guidare dalla creatività di Donato.

Rimanete con noi. Presto, tutto prenderà forma. E chi vorrà potrà farne parte.

Memorie d’Archivio

Un foglio trovato piegato in due in un mucchio di cataloghi stipati nella libreria di Donato, ma questo foglio nasconde una piccola perla; un omaggio accorato e brillante di Sergio Pontiggia, politico e poliedrico personaggio nato e cresciuto in Valsassina, a due passi da Lecco. Una figura amica, che in passato ha aiutato Donato in alcune vicende spinose, e con il quale ha subito creato un rapporto schietto, uno di quelli che solo con Donato si poteva avere. E da questa stima reciproca ne è nato un articolo di cui non sappiamo quasi nulla: né la pubblicazione, né tantomeno il titolo o il periodo dell’esposizione avvenuta in quel lontano 2003 a Introbio, proprio nel cuore di quella valle tanto cara a Pontiggia.


Donato Frisia (junior — ndr) è un uomo generoso, ingenuo, “alla mano”.
Viviamo in un periodo in cui la generosità non pare essere più di moda. Attorno a noi tutto è ricerca di lucro, di guadagno… L’
avere, direbbe Erich Fromm, ha sopraffatto l’essere.

In periodi in cui essere considerati ingenui può essere un grave difetto, Frisia mantiene la sua ingenuità che, in Arte, sta a significare purezza, autenticità, amore. Non c’è bisogno di sforzare le meningi per comprendere l’arte pittorica di Frisia. Non c’è bisogno di dare tante interpretazioni. Basta guardare i suoi quadri. Essi “parlano” al posto dei critici che sanno dire tante parole quando non c’è niente da dire, e che non servono quando i
quadri sono come quelli di Frisia.

Ho detto che Frisia è alla mano, perché, come si dice, “non la mette giù”, come altri farebbero disponendo delle sue eccezionali capacità artistiche, e soprattutto del suo senso del colore, che ne fanno un artista completo, di raffinatezza indiscutibile.

Un dipinto si acquista quasi esclusivamente per due motivi: perché è un oggetto che piace, e che nell’insieme può rendere la nostra casa più arredata o il nostro ufficio più bello, e, poi, perché può essere un investimento, alternativo ad altri magari più praticati e più noti.

Ho conosciuto quasi per caso Frisia, perché un mio ex compagno di scuola, peraltro esperto d’arte, nella necessità di denaro contante, mi offrì un suo splendido olio su tela chiedendomi un certo importo, che era poi la metà di quello che veniva chiesto nelle gallerie per un’opera di quel rilievo.
Capendo subito che mi si proponeva un piccolo, ma mica tanto, “affare”, dopo aver acquistato il dipinto, presi l’occasione della mancanza di cornice per andare a casa del Pittore a Merate, Frazione Brugarolo, per conoscerlo personalmente. Non solo il Maestro non volle assolutamente che io gli
pagassi la cornice, ma addirittura mi regalò un suo piccolo bozzetto semplicemente perché gli dissi, quasi per caso, che il giorno dopo sarebbe stato il mio compleanno. Un gesto spontaneo che solo gli uomini generosi sanno fare. E fu come se ci conoscessimo già da decenni. Ed è per quello che
decisi, all’istante, di dargli una mano per diffondere in ambienti a lui estranei la sua Arte.

Il suo filone artistico si muove nel solco del cosiddetto Naturalismo Lombardo, specie per il filone PAESAGGI, soprattutto della Brianza, che è appunto uno dei suoi tre filoni prediletti. Il filone
che l’ha reso però famoso è sicuramente quello conosciuto come i RIFLESSI, tema meditato a lungo durante la sua attività di traghettatore, esercitata per anni sull’Adda, con il traghetto progettato niente meno che da Leonardo da Vinci.

Non è davvero un caso che molti critici abbiano avvicinato le opere di Frisia, del filone dei “Riflessi”, agli impressionisti francesi più celebri, primi tra tutti Caillebotte e Monet, che arrivarono addirittura ad attrezzarsi uno studio galleggiante per meglio rappresentare le rive dei fiumi e dei torrenti.
Chi non ricorda i grandi quadri raffiguranti le Ninfee dell’immenso
Monet, capaci di avvolgere quasi coloro che li guardano, che li contemplano?
Come per i grandi impressionisti, anche per Frisia l’importante è fermare l’attimo fuggente. Perché è nell’attimo fuggente che il vero artista trova l’eterno.

Il mondo è in costante attività cromatica ed il pittore se ne rende conto abbandonando talvolta le forme lineari della rappresentazione tradizionale, in certi casi addirittura fotografica, a tutto vantaggio del colore e degli effetti di luce e controluce, dei “riflessi”, appunto.
Gli impressionisti non hanno formato una scuola. Ognuno di loro ha avuto una maniera propria, tutta sua, di rappresentare la realtà ed il movimento, i fiumi, i mari, le nuvole, …
Monet e Caillebotte a parte, come si fa a non trovare in Frisia qualcosa anche tipico in Lépine e Balande, o in Le Sidaner e Vuillard, in Sisley e Pissarro?

Se gli impressionisti sono impressionisti perché sanno rappresentare non tanto il paesaggio quanto la sensazione prodotta dal paesaggio medesimo, allora Frisia potrebbe senz’altro definirsi un impressionista moderno.

Il terzo filone pittorico è legato al suo amore per la musica in generale e per il pianoforte in particolare. È per questo che può chiamarsi delle NOTE MUSICALI. Parrebbe che tra la musica e la pittura ci sia una grande distanza. Non è così per Frisia, che invece trae dalla conoscenza delle note musicali nuove motivazioni per percorrere nuove strade pittoriche, nuovi
sentieri di creatività.
Le sue tecniche pittoriche si vedono facilmente: olio, pastelli grassi, acquarello.

La Mostra Personale che il Comune di Introbio organizza in queste settimane è una prova della sensibilità per l’Arte del Sindaco Eusebio Marconi e dell’Assessore alla Cultura Maria Grazia Rupani, che non hanno esitato un solo attimo a mettere a disposizione lo splendido ambiente di Villa
Migliavacca.

L’augurio mio personale è che le opere di Donato Frisia junior incontrino il massimo consenso dei tanti appassionati d’Arte che, visitando la Mostra, perlomeno entreranno, anche per pochi minuti, in
una sorta di magico mondo, lontano dalle brutture del quotidiano.

Sergio Pontiggia
Introbio, Lecco, 12 aprile 2003

Dipingo a suon di musica: per me Mozart e Chopin sono fonte di ispirazione

Riproponiamo qui di seguito una bella intervista fatta a Donato nel 2009, in occasione della mostra allestita a Villa Cabella Lattuada di Annone Brianza, pubblicata nella sezione “Il Personaggio” del quotidiano Il Giorno.


IL GIORNO — MERATE

Dipingo a suon di musica: per me Mozart e Chopin sono fonte d’ispirazione

Le opere del pittore in mostra ad Annone Brianza — Domenica 3 maggio 2009

Donato Frisia è nato a Bengasi (Libia) il 12 febbraio 1940. Suo padre, militare nell’aviazione, era stato inviato in Africa nel 1939 durante la campagna promossa dal Governo Mussolini. Pittore come il nonno, uno dei grandi dell’impressionismo lombardo, Frisia junior ne porta il nome. Ferito il padre, anche il piccolo Donato, che aveva solo cinque mesi, tornò in Italia. La famiglia abitava a Milano. Nel 1953 si trasferì a Merate, dove viveva il nonno, che lì era nato e morirà proprio nello stesso anno in cui i Frisia avevano lasciato Milano per la Brianza.

Pittore precoce, e qui il DNA non mente, Donato Frisia ha dipinto il suo primo quadro a 4 anni. A metà degli anni Sessanta, Donato junior conobbe a Imbersago Ennio Morlotti, il grande pittore lecchese. Sposato dal 1964 con la signora Anna, ha due figli e quattro nipoti e dipinge tuttora. In questi giorni espone le sue tele, ispirate dalla musica, alla Cabella di Annone Brianza.


«Sono un autodidatta: dipingo ascoltando musica»

di Sergio Perego — MERATE

Donato Frisia junior ha 69 anni. È nipote dell’omonimo pittore, grande pittore dell’impressionismo lombardo del Novecento. Vive in Brianza dal 1953 e ora risiede a Merate.

Frisia, da quando dipinge?

«Avevo quattro anni quando, guardando un quadro di Raffaello, con i pastelli ne avevo riprodotto un particolare. Era una donna, credo della Resurrezione. Mio nonno lo vide. Il giorno dopo mi regalò tele, colori e pennelli. Non ho più smesso».

Lei vive in brianza dagli anni Cinquanta, ma è nato a Bengasi…

«Papà era nell’aviazione. Nel 1939 venne inviato in Africa. Ferito, sarà rimpatriato. Io avevo cinque mesi. Vivevamo a Milano. Lui si rifugiò a Olgiate Comasco. Era stato l’unico con un altro del suo stormo a salvarsi. Non voleva certo tornare in Libia».

Lei ha sempre dipinto?

«Mi sono sempre sentito pittore, come lo era il nonno che non sfruttava le mode o le tendenze. Sono come lui. Mi sono sposato a 24 anni e i soldi non bastavano mai, ma anche quando facevo il rappresentante di lampadari per l’azienda fondata da mio padre, non ho mai smesso di dipingere».

Gli studi?

«Papà mi aveva iscritto all’istituto geometri. Ero in convitto a Sondrio, ma non era la mia strada. Tornai a Merate. Dopo aver frequentato l’Accademia Cimabue di Milano, provai anche con Brera, ma l’ostacolo erano sempre le materie scientifiche. Decisi di lasciar perdere».

Ha studiato in Brianza?

«A Merate ho frequentato la Scuola d’Arte Pura e Applicata di viale Lombardia, della quale sono stato anche un docente, ma insegnare non era nelle mie corde. Dipingevo anche durante il servizio militare. L’arte è da sempre la mia vita».

I rapporti col nonno?

«Sempre molto intensi, anche se purtroppo troppo brevi. Avevo cominciato a dipingere con continuità quando lui morì. Avevo 13 anni. I suoi consigli mi furono comunque di grande aiuto. Mi correggeva dove riteneva necessario. Mi ricordo di averlo accompagnato, già malato, nella sua ultima uscita a Pagnano, frazione di Merate. Gli piaceva dipingere en plain air, come a me del resto. Il paesaggio era quello della Cascina Rossa. Le forze gli mancavano. Chiese a me di aiutarlo e mi indicava dove e come mettere il colore. Fu la sua ultima lezione. Indimenticabile.

Lei ha conosciuto anche Ennio Morlotti…

«Tra il 1955 e il 1960 abitavamo a Imbersago, dove risiedeva anche Morlotti. Andavo a trovarlo nel suo studio. Era poverissimo, ma sui quadri usava tubetti interi di colore. Non mi piacevano. Poi capii la sua grandezza. Ho sempre amato di più l’acquerello. Ricordo anche le tecniche che Morlotti usava per “invecchiare” e modificare velocemente le pannocchie di granoturco. Aveva una sua idea della realtà e quella voleva rappresentare».

Come definirebbe suo nonno?
«Un pittore e basta: un impressionista lombardo».

E lei? Come si definisce?
«Vengo dalla stessa scuola. Dal 1987 fino al 1995 avevo condotto il traghetto di Imbersago. In quel periodo ho cominciato a dipingere i “Riflessi”. Mi sono anche ispirato alle favole. Adesso dipingo ascoltando musica. La mostra di Annone è soprattutto questo. Con Prokofiev, il Preludio di Romeo e Giulietta, ho pitturato 60 soggetti su carta. Anche Mozart e Chopin sono per me fonte d’ispirazione».

Cosa non dimenticherà di suo nonno?

Le ultime parole me le disse cinque ore prima di lasciarci: “Mi dispiace morire, perché solo adesso, a 70 anni, sto imparando a dipingere”».

— Donato Frisia, 3 maggio 2009.

Donato Frisia jr a Imbersago. Storia di una profonda connessione.

Il legame di Donato con Imbersago prende forma già negli anni Cinquanta, quando vive in Piazza Garibaldi, sopra l’attuale Bar Derby. Sono anni fondamentali per la sua crescita, in cui l’arte entra nella sua vita non come un interesse passeggero, ma come una vocazione inevitabile. Il nonno, Donato Frisia senior, era infatti un pittore affermato a Merate e per il nipote rappresentò il primo maestro: da lui apprese la disciplina del mestiere, l’importanza del disegno e la fedeltà all’osservazione della realtà. Quella eredità rimase sempre impressa nella sua mano e nel suo sguardo.

A Imbersago, in quegli stessi anni, abitava anche Ennio Morlotti, artista di fama internazionale. Lo stile di Morlotti, fatto di libertà gestuale e materia vibrante, era lontano dal linguaggio di Donato, più legato alla figura e alla tradizione. Eppure quella presenza non gli fu indifferente. Con rispetto seguì la sua opera, quasi percependo che quella tensione verso un’arte meno vincolata alla realtà, prima o poi, sarebbe tornata a riaffiorare anche nella propria coscienza.

Nel 1964, dopo il servizio militare e il matrimonio, Donato si trasferisce a Merate. È una scelta di vita, necessaria e naturale, ma il richiamo di Imbersago non si spegne mai. Quel piccolo borgo sulle sponde dell’Adda rimane il suo punto di riferimento, un polo gravitazionale che lo attira a sé anche a distanza di anni. Non a caso, negli anni Ottanta vi torna per lavorare come “caronte” del traghetto leonardesco, il celebre mezzo che ancora oggi collega le due rive del fiume seguendo il progetto attribuito a Leonardo da Vinci. Poco dopo, inventa la formula delle gite in barca, un’attività nuova che gli permette di condurre i visitatori lungo l’Adda. I suoi percorsi preferiti erano tre: verso la diga di Paderno, verso le isole di Brivio e il viaggio più lungo fino al Foppone, poco prima della diga di Olginate.

Passare così tanto tempo sul fiume significò per lui un contatto quotidiano con la natura e con la luce. Giorno dopo giorno, osservò il mutare dell’acqua, i bagliori improvvisi, i riflessi che trasformavano superfici tranquille in visioni sorprendenti. All’inizio questi riflessi comparivano nei suoi paesaggi come un dettaglio, un punto di interesse nuovo, capace di dare vitalità alla scena. Ma più osservava, più si rendeva conto che in quei giochi di luce si nascondeva qualcosa di più: non semplici effetti ottici, ma una realtà parallela, una vita intrappolata nei flutti. Colori e forme si dissolvevano e si ricomponevano, creando un mondo inedito, vibrante, che chiedeva di essere raccontato.

Donato si appassionò a questa scoperta. Tornava sempre sul fiume, osservava e osservava ancora, come se quell’acqua fosse uno specchio capace di rivelare un segreto che solo lui poteva decifrare. Ben presto i riflessi non furono più un dettaglio, ma divennero il cuore stesso della sua pittura. Smise di raccontare il paesaggio nella sua interezza e iniziò a dipingere soltanto quello che vedeva attraverso l’acqua: frammenti di realtà trasfigurata, visioni mutevoli che prendevano forma sulla tela.

Questa ricerca segnò una svolta decisiva. I riflessi divennero il ponte tra la sua fase figurativa e il bisogno di spingersi oltre i confini della rappresentazione. Fu un passaggio obbligato: prima di abbandonare del tutto i canoni della realtà, Donato dovette attraversare il linguaggio del fiume, lasciarsi condurre da quella vita segreta di forme e colori che lo invitava a sperimentare. Così, passo dopo passo, arrivò ad abbandonarsi all’astrazione. Non più alberi, rive o cieli riconoscibili, ma campi cromatici vibranti, costruiti sulla forza del colore e sulla libertà del gesto.

Se il nonno gli aveva insegnato a rispettare la realtà visibile e Morlotti gli aveva mostrato la possibilità di forzarne i limiti, l’Adda gli rivelò il suo destino: quello di un pittore che non si accontenta di descrivere, ma che cerca, attraverso l’arte, di dare forma alle proprie emozioni più profonde. Ogni riflesso diventa allora un varco verso l’interiorità, un modo per tradurre sulla tela la vita segreta che scorre, come il fiume, dentro ciascuno di noi.

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